eliogabalo, adolescente scatenato nel sesso... e IMPERATORE :)

Historia Augusta
Antoninus Heliogabalus
(scritta da Aelius Lampridius)
traduzione: Gaetano Paterniti M. 

Nessuno on line aveva tradotto la storia graziosa di questo ragazzino che a 14 anni divenne imperatore di Roma. E siccome mi incuriosì una trasmissione in tv, poi sprazzi di notizie raccolte qua e là sulle sue presunte perversioni, decisi: "La traduco io dal latino, con tanto di note sui vocaboli più erotici e osceni".
un ragazzino imperatore
che (ovviamente!) si diede a tutti i piaceri del sesso,
veri ...e spesso inventati dallo "storico"
e che non voleva figli per paura
che GLI RISULTASSERO DI BUONI COSTUMI :-)
1 Giammai avrei messo per iscritto la vita di Eliogabalo Antonino, che fu anche detto Vario, in modo che nessuno sapesse che è stato un principe dei Romani, se non fosse che prima di lui avevano avuto questo impero i Caligola, i Neroni e i Vitelli.
2. Ma come la terra produce bellezze e frumento e altre cose salutari, ma dà anche vita a serpenti e animali domestici, il lettore attento farà tra sé e sé una compensazione quando, a fronte di questi mostruosi tiranni, avrà letto di Augusto, Vespasiano, Tito, Traiano, Adriano, [Antonino] Pio, Marco [Aurelio].
3. Allo stesso tempo [il lettore] comprenderà i giudizi dei Romani, che questi ultimi cioè riuscirono a governare a lungo e a morire di morte naturale; mentre gli altri furono uccisi, allontanati e anche chiamati tiranni, e i loro nomi non è piacevole menzionare.
4. E così, dopo che furono uccisi Macrino e suo figlio Diadumeno, che condivideva l'impero con lui e aveva ricevuto il nome di Antonino, il potere passò a Vario Eliogabalo, perché si diceva che fosse figlio di Bassiano . 5. Eliogabalo fu sacerdote o di Giove o del Sole, e si era arrogato il nome di Antonino vuoi come prova che egli discendeva da tale famiglia, vuoi perché sapeva che quel nome fino ad allora era tanto caro al popolo, che perfino Bassiano, parricida, era stato amato a causa di esso. 6. Egli fu dapprima chiamato Vario, poi Eliogabalo per il sacerdozio del dio Eliogabalo, il cui culto aveva portato dalla Sira e al quale innalzò un tempio a Roma là dove c'era prima la Aedes Orci .
7 Infine quando divenne imperatore, fu chiamato Antonino e fu lui l'ultimo degli Antonini nell'impero romano.
II. 1 Fu tanto affezionato alla madre Symiamira, che senza il consenso di lei niente faceva nell'amministrazione dello stato; mentre lei, vivendo come una prostituta, si dava nel palazzo a ogni turpitudine; ed essendo nota una sua relazione con Antonino Caracalla, il volgo pensava che era stato concepito così Vario o Eliogabalo. 2 E dicono alcuni anche che il nome Vario gli fu dato da condiscepoli, perché sembrava nato da mescolanza di vario seme, come appunto da un puttana.
3. Dopo l'uccisione di suo padre, cioè per come si diceva di Antonino, da parte della fazione di Macrino, si narra che egli fuggì, come per trovare asilo, nel tempio del dio Eliogabalo, per non essere ucciso da Macrino, che esercitò ferocemente il potere assieme al figlio lussurioso e crudele.
4. Ma basta ora col nome di Antonino, di questo nome santo che egli profanò, e che tu, o Costantino santissimo, tanto veneri che hai fatto colare in oro le statue di Marco Aurelio e di Antonino Pio, per collocarle tra quelle dei Costanzo e dei Claudio, come fossero tuoi antenati, adottando le virtù degli antichi, così conformi ai tuoi costumi e a te tanto care.
III. 1 Ma tornando ad Antonino Vario, avuto l'imperio mandò messaggeri a Roma. Si infiammarono al nome di Antonino tutti gli ordini e pure tutto il popolo, visto che tale nome non era più solo un titolo onorifico, come era stato per Diadumeno, ma sembrava riconsegnato a loro per sangue. Infatti egli aveva scritto di essere figlio di Antonino Bassiano, cosa che suscitò grande desiderio verso la sua persona.
2. Si diffondeva inoltre anche il favore che, dopo un governo di tiranni, suole accordarsi ai nuovi principi,e che poi non resta se non per effetto di grandissime virtù, e che infatti molti mediocri principi persero.
3. Di conseguenza quando in senato furono lette le lettere di Eliogabalo, subito furono pronunciati discorsi fausti verso Antonino, e funesti contro Macrino e suo figlio. E Antonino così fu nominato princeps col consenso di tutti, e tutti credendoci con ardore, così come gli auspici degli uomini si rivolgono alla credulità di chi agisce in fretta, quando desiderano che sia vero ciò che essi vorrebbero.
4. Ma egli, subito dopo il suo ingresso a Roma, senza più occuparsi di quello che avveniva in provincia, fece costruire e consacrare a Eliogabalo un tempio sul monte Palatino, accanto ai palazzi imperiali, con l'intenzione di trasferirvi la statua della Mater, il fuoco di Vesta, il Palladio, lo scudo sacro e tutti gli oggetti di venerazione dei Romani; e così faceva affinchè nessun dio a Roma fosse venerato se non Eliogabalo.
5. Diceva inoltre che le religioni dei Giudei e dei Samaritani, e il culto dei Cristiani, dovessero essere trasferite là, affinchè il culto segreto di tutte le credenze fossero riunite nel sacerdozio di Eliogabalo.
IV. 1 Quindi quando il senato tenne la sua prima seduta, ordinò che sua madre vi fosse invitata.
2. E lei, dopo essere venuta, chiamata agli scranni dei consoli presenziò alla scrittura, cioè fu testimone della predisposizione di un senatus consulto. E così egli fu il solo fra tutti gli imperatori sotto il quale una donna entrò in senato, quasi col titolo di clarissima, per tenere il posto di un uomo.
3. Costituì anche, sul colle Quirinale, il senaculum, cioè il senato delle donne, nel luogo ove prima si teneva la riunione delle donne romane nelle feste solenni solamente, riunione alla quale non erano ammesse che le mogli dei consoli che fossero state onorate di ornamenti consolari: si tratta di una concessione che avevano fatto i nostri antichi imperatori, in favore soprattutto di quelle che non avevano i loro sposi nobili perché non rimanessere, esse, senza distinzione [innobilitate].
4. Sotto Symiamira furono approvati senatus consulti ridicoli, su leggi riguardanti le matrone: con quale vestito incedere, chi dovesse cedere il passo a un'altra, chi dovesse attendere il bacio di un'altra, chi dovesse viaggiare in carrozza, chi su cavallo, chi su bestia da soma, chi su asino, chi su carro portato da muli, chi su carro di buoi; chi potesse montare su sella, e se la sella dovesse essere di pelle, di osso, di avorio o d'argento; infine chi avesse il diritto di portare oro o gemme nelle sue calzature.
V. 1 Durante un inverno che passò a Nicomedia, poiché si comportava vergognosamente e si faceva scopare da uomini e andava in calore, subito i soldati si pentirono delle proprie decisioni, di aver cioè cospirato contro Macrino per fare principe costui, e rivolsero il proprio pensiero ad Alessandro, cugino dello stesso Eliogabalo, che il senato, soppresso Macrino, aveva nominato Cesare.
2. Infatti chi potrebbe infatti sopportare un principe che riceve libidine per tutti i buchi del corpo, quando neanche nelle bestie ciò non si sopporta?
3. Inoltre non si occupò d'altro a Roma se non d'avere sicari che gli ricercassero tipi ben cazzuti e glieli mandassero a palazzo per poter godere delle loro prestazioni.
4. Faceva rappresentare inoltre a palazzo il mito di Paride, interprentando egli stesso il ruolo di Venere, e lasciando cadere tutto d'un colpo le vesti ai suoi piedi, interamente nudo, con una mano sul seno e l'altra sui genitali si inginocchiava col culo in aria, rivolto e sbattuto in faccia al suo ficcatore.
5. Oltre a presentarsi col volto dipinto al modo di Venere, si esibiva depilato in tutto il corpo, ritenendo che il piacere più grande della vita era sembrare meritevole e adeguato alla libidine di quanta più gente possibile.

VI. 1 Fece commercio di onori, dignità e potestà, tanto tramite sé stesso, quanto tramite tutti gli schiavi e i complici di libidini.
2 Conferì la dignità di senatore senza alcuna distinzione d'età, censo, nobiltà, non riconoscendo altro merito che il denaro; vendette le cariche di prefetto di tribuni, di ambasciatori, di generali d'esercito, e finanche di intendenti e altre cariche di palazzo.
3 Gli aurighi Protogene e Cordio prima li ebbe come compagni nelle gare di corse, e poi partecipi in tutta la vita e in ogni sua azione.
4 Molti, i cui corpi gli erano piaciuti, dalla scena o dal circo o dall'arena se li portò a corte.

5 Verso Ierocle nutriva tanto amore da baciargli i genitali, asserendo, cosa che anche a dire è indecente, che così celebrava i sacri Floralia. Commise incesto con una vergine Vestale.
6 Profanò le cose più sacre del popolo romano rimuovendo i simulacri degli dei.
7 Volle spegnere il fuoco sacro perenne. E non soltanto le religioni di Roma volle abolire ma, in ogni parte della terra dedicandosi a una cosa sola, che il dio Eliogabalo fosse venerato ovunque, penetrò nel focolare di Vesta, ove vanno solo vergini e pontefici, corrotto com'era dalin tutti i suoi costumi, e accompagnandosi con quelli che si erano corrotti.
8 Avendo così tentato di portar via il simulacro della dea, prese in realtà una statua che, malgrado l'apparenza, non era che un falso idolo sostituito dalla Vestale Maxima. Non trovandovi però niente di straordinario, la fece a pezzi; il che non fece perdere nulla a questo culto, perché si dice che ne esistevano più copie, affinchè nessuno potesse mai portar via quella vera. Portò via, ciò nonostante, una statua che credeva fosse il Palladium, e avendola fatta dorare la collocò nel tempio del suo dio.

VII.1 Si fece anche iniziare ai misteri della Madre degli dei, e si arrogò il turibolo per portar via la statua della dea e tutto quello che serviva al suo culto e che si teneva inviolabilmente nascosto ai profani.
2 Si mise addirittura a dimenare la testa fra le cosce di estatici eunuchi incollandosi ai loro cazzi, e fece tutte quelle cose che i Galli son soliti fare; e poi, portata via la statua della dea, la portò nel santuario del suo dio.
3 Rappresentò Venere che piangeva Adone, con tutto l'apparato di gemiti e contorsioni che caratterizza in Siria il culto di Salambo; diede così egli stesso un presagio della sua imminente fine.
4 Affermava a gran voce che tutti gli dei non erano altro che ministri del suo dio, assegnando agli uni il titolo di suoi camerieri, ad altri di suoi schiavi, ad altri ancora di ministri delle cose più disparate.
5. Volle asportare le pietre cosiddette divine dalla statua di Diana Laodicea, in quel tempio che Oreste aveva innalzato.
6. Oreste tuttavia, si dice, non si era accontentato di erigere una sola statua di Diana, né in un solo luogo; ma ne aveva innalzate parecchie e in diversi luoghi. Dopo essersi purificato, seguendo un responso dell'oracolo, nelle acque dell'Ebro, Oreste aveva anche fondato la città di Oresta, che spesso fu necessario insanguinare con sangue di uomini. E a questa città l'imperatore Adriano fece cambiare il nome dandole il suo proprio all'epoca in cui aveva iniziato a soffrire di follia, e ciò in virtù di un oracolo che gli aveva detto che per guarire della mania furiosa di cui era affetto, doveva entrare in una casa di un furioso che ne prendesse il nome. Da quel momento cominciò, si dice, a calmarsi questa malattia, in un degli accessi della quale egli aveva dato ordine di mettere a morte un grande numero di senatori. E fu per averli salvati che Antonino meritò il nome di Pio, perché riportò [vivi] in senato coloro che tutti ormai credevano morti per l'ordine del Principe.

VIII. 1 Sacrifica anche vittime umane , facendo radunare a questo scopo per tutta l'Italia fanciulli nobili e belli, con padre e madre vivi, in modo che, credo, il dolore fosse più grande per ciascuno dei due genitori.
2. Si circondava di ogni sorta di maghi che operavano ogni giorno con lui, incoraggiati dalle sue esortazioni e dai ringraziamenti che rendeva agli dei di averli trovati, quando essi consultavano le viscere dei bambini e scrutavano le vittime seguendo il rito delle loro nazioni.
3. Quando ricevette il consolato, non furono né pezzi d'oro o d'argento, né dolci né animali minuti, ma buoi ingrassati, cammelli, asini e cervi, che fece distribuire al popolo dicendo ciò sì che era degno di un imperatore.
4. Attaccò duramente la reputazione di Macrino, e soprattutto quella di Diadumeno, a causa del nome di Antonino che egli avevo assunto, chiamandolo Pseudo Antonino per allusione al Pseudo Filippo, simul quod ex luxuriosissimo extitisse vir fortissimus, optimus, gravissimus, severissimus diceretur.
5. Infine costrinse più di uno scrittore a discutere le cose più infami sulla sua lussuria, che della sua vita.

6. Fece costruire bagni pubblici negli edifici del palazzo, e nello stesso tempo vi ammise il popolo, per fare incetta di prestazioni di uomini ben cazzuti.
7. E si sforzò per bene di fare ricercare in tutta la città, e pure tra i marinai, gli ONOBELI : così lui chiamava quelli che apparivano più dotati di virilità.

IX. 1 Volendo egli fare guerra ai Marcomanni, che Antonino aveva gloriosamente sconfitto, qualcuno gli disse che Antonino Marco era riuscito per mezzo di Caldei e maghi a far sì che i Marcomanni fossero devoti e amici al popolo romano, e che ciò era avvenuto con canti e consacrazione. Chiedendo quali fossero quelle [le parole magiche impiegate] e in che luogo fossero [state consegnate], fu arrestato.
2. Si sapeva infatti che egli la cercava solo per distruggerne il fascino e rinnovare così la guerra; nella speranza, soprattutto, di compiere l'oracolo che conosceva, secondo il quale la guerra dei Marcomanni sarebbe terminata per merito di un Antonino: pretesa tanto più ridicola, che questo nome che egli profanava se l'era arrogato per usurpazione, e che, oggetto del riso pubblico, non lo si chiamava che Vario o Eliogabalo
3. D'altronde egli era tradito soprattuto da quelli che si dolevano di vedersi preferiti da altri uomini meglio conformi di essi per subire le sue turpitudini [traduzione dubbia]. E fin qui le cose di palazzo.
X. 1 Ma i soldati non potevano soffrire che una peste simile si gloriasse del titolo di imperatore, e così prima furono conversazioni segrete, poi discussioni nei circoli, mentre il generale loro favore andava su Alessandro, che già a quel tempo il senato aveva proclamato Cesare, e che era cugino di questo Antonino: infatti unica era la nonna, Varia, dal cui nome Eliogabalo era chiamato Vario.
2. [Un certo] Zotico ebbe tanta importanza sotto di lui, che tutti i responsabili dei vari settori lo consideravano quasi come marito del signore.
3. Inoltre lo stesso Zotico, abusando di questo genere di familiarità, vendeva fumo su tutte le parole e le azioni di Eliogabalo perché ambiva alle più grandi ricchezze. E così agli uni faceva minacce e agli altri promesse, tutti fuorviandoli; e quando usciva da incontri con lui per andare a trovare qualcuno, diceva: «Ho detto tale cosa di te; ho sentito dire di te ciò; ti accadrà questo».
4. Così sono gli uomini di questa razza, che, se sono stati ammessi a troppa familiarità coi principi, vendono la reputazione del loro signore, che sia malvagia o buona; e grazie alla stoltezza o all'ingenuità degli imperatori, che non si accorgono di nulla, si nutrono del piacere di divulgare infamie.
5. [Eliogabalo] se lo prese per marito e scopò con lui, senza rinunciare alla pronuba, in presenza della quale gli urlava «Spaccami [in due], cuoco», quando per di più a quel tempo Zotico era malato.
6. Chiedeva inoltre a filosofi e a uomini dignitosissimi se anche loro nell'adolescenza avessero subito quello che lui stesso subiva. Per giunta con grandissima impudenza, senza risparmiare parole oscene e, addirittura, facendo chiaramente osceni segni con le sue dita, e senza nessuna vergogna per trovarsi in una riunione o perchè l'ascoltava il popolo.

XI. 1 Nominò i liberti governatori, legati, consoli, capi militari; e sporcò tutte le dignità conferendole a chi era più ignobile in dissoletezza. 2. Avendo invitato a delle vendemmie amici nobili, sedutosi presso i canestri si mise a chiedere a ognuno dei più seri ospiti se ancora sacrificasse a Venere. E come gli anziani arrossivano, egli proclamava: «Si è vergognato, la faccenda è salva», interpretando come consenso il loro silenzio e rossore.
3 Aggiunse egli inoltre tutto quello che lui faceva, senza velo di alcun pudore.
4. Quando vide gli anziani arrossire e tacere, vuoi perchè l'età vuoi perché la dignità si opponeva a tale indiscrezione, si rivolse ai più giovani e a essi iniziò a chiedere di tutto.
5. Ricevendo da essi risposte più idonee, cominciò a godere dicendo che veramente libera era la vendemmia che così celebrava.
6. E' lui, si dice, che immaginò per primo che alle feste della vendemmia fosse permesso agli schiavi di riversare sui loro padroni, che li ascoltavano, frasi burlesche, che egli stesso aveva composto, soprattutto in greco. La maggior parte di queste sono riportati da Mario Massimo nella sua Vita di Eliogabalo.
7. C'erano amici licenziosi e anche vecchi, e specialmente filosofi, che mettevano sulla testa cuffie a reticelle, che dicevano di prestarsi a certe licenziosità e che si vantavano di avere dei mariti. Si pensa che essi fingessero mentendo, per entrare nelle sue grazie imitandolo nei vizi.

XII. 1 Nominò prefetto del pretorio un danzatore che aveva fatto l'attrice (istrionica) a Roma; alla testa delle sue guardie notturne mise l'auriga Gordio, e a commissario all'annona il barbiere Claudio. 2. Ai restanti onori innalzò quelli che gli piacevano per l'enormità dei loro cazzi. Nominò procuratori della ventesima sulle successioni un mulattiere, un messo, un cuoco e un fabbricante di chiavi.
3. Quando entrava negli accampamenti o nella curia conduceva con sé sua nonna Varia, della quale s'è detto prima, perché la sua autorità gli desse più dignità, visto che non avrebbe potuto con la propria. Né prima di lui, come abbiamo già detto, mai donna era stata ammessa al senato per dare la sua opinione e il suo sta bene.
4. Nei banchetti faceva sedere vicino a sé principalmente giovani dediti alla prostituzione e godeva intensamente per i loro maneggiamenti e per il loro contatto, e nessuno di essi dava a lui più volentieri la coppa dopo avervi bevuto.

XIII. 1 In mezzo a queste cattive abitudini di vita impudicissima ordinò che fosse allontanato da lui Alessandro, che egli aveva adottato, dicendo di essersi pentito dell'adozione, e raccomandò al senato che gli fosse tolto il nome di Cesare. 2 Ma appena ciò fu riferito in senato, ci fu un grande silenzio; se Alessandro era un ottimo giovane, come poi dimostrò il tipo del suo imperio, per ciò stesso egli non piaceva a suo padre: perché non era impudico. 3. Gli veniva cugino, come alcuni dicono; era amato anche dai soldati ed era gradito al senato e all'ordine equestre. 4. E tuttavia lo sdegno di Eliogabalo fu tale da spingerlo a desiderare la sua morte, tant'è che infatti gli mandò dei sicari. Ed ecco il piano che adottò.
5. Eliogabalo si ritirò nei giardini della Speranza antica, quasi a formulare voti contro quel nocivo giovane, lasciando nel Palazzo la madre, la nonna e suo cugino, e ordinò che fosse trucidato quel giovane, ottimo e necessario alla repubblica. 6 Inviò lettere ai soldati, a cui vietò di chiamare Alessandro col nome di Cesare. 7 Incaricò gente di coprire di fango, negli accampamenti, le iscrizioni sulle statue di lui, come suole avvenire a proposito dei tiranni. 8. E ordinò ai precettori di lui, sotto speranza di premi e onori, che lo uccidessero nel modo che più preferivano, o in bagno o col veleno o col ferro.

XIV. 1 Ma nulla possono i malvagi contro gli innocenti. Infatti nessuno potè essere spinto, con qualunque forza, a compiere tanto delitto, perché erano dirette più a lui stesso le armi che preparava contro altri; e così egli sarebbe stato ucciso da quelli appunto con cui minacciava di morte altri.
2. Ma quando furono infangate le prime scritte delle statue, i soldati divamparono tutti, e parte di essi tende ad andare a Palazzo, parte agli orti nei quali Vario si trovava, per vendicare Alessandro e scacciare finalmente dalla repubblica quell'uomo impuro di animo omicida. 3. Arrivati al Palazzo, condussero Alessandro assieme alla madre e alla nonna e li custodirono con grandissima attenzione negli accampamenti.
4. Era andata appresso a loro, a sua volta, Symiamira, madre di Eliogabalo, in apprensione per il figlio.
5. Quindi andarono ai giardini, dove trovano Vario che preparava una lotta tra aurighi, e che tuttavia aspettava con grandissima apprensione che gli fosse finalmente annunziata l'uccisione di suo cugino.
6. Egli, atterrito dall'improvviso strepito dei soldati, si apparta in un angolo e, copertosi con un velo da cameriere, poiché era all'ingresso di una sala, si nascose, 7 mandando alcuni prefetti a reprimere i soldati nelle caserme e altri a placare quelli che già erano venuti nei giardini.
8. Antiochiano, uno dei prefetti, supplicò quelli che erano già venuti nei giardini che non l'uccidessero, ricordando loro il giuramento fatto, perché non in molti erano venuti, e la maggior parte di loro era rimasta assieme al vessillo, che il tribuno Aristomaco aveva trattenuto.
Questo nei giardini.

XV. 1 In caserma poi i soldati al prefetto implorante dissero che averebbero risparmiato Eliogabalo, se lui avesse allontanato da sè gli uomini impuri, gli aurighi e gli istrioni, e se fosse tornato a una vita onesta, principalmente dopo aver cacciato coloro che che, con dolore di tutti, potevano moltissimo presso di lui e vendevano tutto di lui, o con la verità o con la menzogna.
2. Furono allontanati infine da lui Ierocle, Gordio, Myrismo e due malvagi familiari, che rendevano [Eliogabalo] più stolto ancora di come lui era. 3. Inoltre i soldati facevano sapere ai prefetti che non avrebbero più tollerato che egli continuasse ancora il suo genere di vita, che Alessandro fosse guardato a vista perché nessuna violenza gli fosse fatta, e che, da Cesare, non vedesse nessun amico dell'imperatore per di evitare di diventare imitatore delle sue turpitudini.
4. Ma Eliogabalo da un lato con smisurate preghiere reclamava Ierocle, impudicissimo uomo, e dall'altro si limitava a rinviare l'agguato a Cesare ad altri giorni.
5. Infine, alle calende di gennaio, essendo stati entrambi designati consoli in contemporanea, non volle andare in processione col cugino. 6. In ultimo, poiché sua nonna e sua madre gli dicevano che i soldati incombevano sulla sua rovina se non avessero visto la concordia tra loro cugini, indossata la toga praetexta, alla sesta ora del giorno spuntò in senato, chiamando sua nonna al senato stesso e facendola sedere sulla sedia curule. 7. Quindi non volle andare in Campidoglio a formulare le preghiere e a portare a termine le solennità, e tutte queste incombenze furono svolte dal pretore urbano, come se là non vi fossero consoli.

XVI. 1 Non differì però l'uccisione del cugino, ma temendo che il senato si appoggiasse a qualcun altro se egli avesse ucciso il cugino, ordinò che il senato abbandonasse subito la città. E a tutti quelli che non mancavano di carrozze o schiavi fu ordinato di partire, mentre altri venivano trasportati chi tramite facchini, chi tramite animali fortuiti e dietro pagamento. 2. Per il consolare Sabino, a cui Ulpiciano dedicò libri, poichè era rimasto in città, chiamò un centurione e con dolcissime parole gli ordinò di ucciderlo. 3. Ma il centurione, un po' sordo, credette che gli si ordinava di portarlo fuori dalla città, e così fece. E così il difetto del centurione fu la salvezza di Sabino. 4. Rimosse sia Ulpiano, giureconsulto e uomo di valore, sia il retore Silvino, che aveva nominato maestro di Cesare: Silvino anzi fu ucciso, Ulpiano risparmiato.
5. Ma i soldati, e principalmente il pretoriano, vuoi perchè consapevoli che Eliogabalo aveva preparato disgrazie per Alessandro, vuoi perché vedevano che sarebbe sorta avversione nei loro riguardi dall'amore per Alessandro, si riunirono e, fatta una congiura per liberare lo stato, per prima cosa uccisero i complici delle libidini di Eliogabalo con vari tipi di morte: alcuni strappandogli i genitali, altri infilandogli la spada in culo e trapassandoli da parte a parte, in modo che la loro morte fosse concorde con la loro vita.

XVII. 1. Dopo di ciò la violenza si scatenò contro di lui, e così egli fu ucciso nel bagno, ove si era rifugiato. Fu quindi condotto in pubblico. Per aggiungere oltraggio al suo cadavere, i soldati provarono a buttarlo nella cloaca. 2 Ma poiché la cloaca per un caso non l'aveva accolto, fu buttato nel Tevere dal ponte Emilio, con un peso legato perché non galleggiasse e in modo che mai potesse essere seppellito. 3 E il suo cadavere, prima d'essere precipitato nel Tevere, fu trascinato per gli spazi del circo.
4. Il suo nome, cioè Antonino, fu cancellato per ordine del senato, e gli rimase quello di Vario Eliogabalo, visto che l'altro se l'era messo a bella posta perché voleva essere considerato figlio di Antonino.
5. Fu chiamato dopo la morte coi nomi di Tiberino, Trascinato e Impuro, e con molti altri nomi dalle cose che sotto di lui sembrava fossero avvenute, se era il caso che esse venissero di tanto in tanto nominate.
6 Unico fra tutti i principi, fu sia trascinato sia buttato nella cloaca sia precipitato nel Tevere.
7. Questo fu l'effetto dell'odio che gli si portava unanimemente, la disgrazia più grande che un principe debba evitare: perché non è degno di una tomba chi non ha saputo meritare l'amore del senato, del popolo e dell'esercito.
8. Di opere pubbliche sue, oltre la casa del dio Eliogabalo, che alcuni dicono Sole e altri Giove, e la ricostruzione dell'anfiteatro dopo l'incendio, e la purificazione nel quartiere Sulpicio, che Antonino figlio di Severo aveva iniziato, nessun'altra ne risulta. 9. E anche i bagni di Antonino erano stati inaugurati da Caracalla, ove lui stesso andava a bagnarsi e vi ammetteva il popolo; ma i portici mancavano: la loro costruzione fu iniziata da questo supposto Antonino, e completata da Alessandro.

XVIII. 1 Questi fu l'ultimo degli Antonini (sebbene nel cognome molti in seguito ritengano Gordiani gli Antonini, che sono stati detti Antonii, non Antonini), di vita, di costumi e di impudenza così odiosi che il senato ne ha cancellato anche il nome. 2. Neanche io lo avrei chiamato Antonino se non a motivo della narrazione, che costringe generalmente a dire anche quei nomi che sono stati aboliti. Fu uccisa assieme a lui sua madre Symiamira, donna infamissima e degna del figlio.
3. Dopo Antonino Eliogabalo ci si prese cura, prima di ogni cosa, di impedire che mai più donna mettesse piede al senato, e di sacrificare agli inferi, carica di maledizioni, la testa di colui che avesse reso possibile ciò.
4. Della vita di costui molte oscenità sono state messe per iscritto, alcune non degne di ricordo, mentre ho ritenuto utili quelle che riguardavano la sua lussuria, alcune delle quali si racconta che egli avesse fatto da privato e altre già da imperatore. E nella sua vita privata, egli stesso diceva che imitava Apicio, l'imperatore Nerone, Otone e Vitellio.

XIX. 1 Infatti, primo fra tutti i privati allestì divani con torali d'oro, e così da allora è stato lecito fare ciò, in virtù dell'autorità di Antonino Marco, che aveva celebrato pubblicamente tutta quella magnificenza imperatoria. 2 Quindi offrì conviti estivi variamente colorati, un giorno di colore verde, un altro vitreo, un altro ancora azzurro, variando sempre per tutti i giorni dell'estate. 3 Per primo ancora ebbe fornacelle d'argento, per primo anche pentole, poi vasi centenari d'argento, scolpiti e deturpati con vergognosissime figure.
4 Il resinoso, l'aromitazzato alla menta e tutto quello che ritiene lussuria , per primo adottò. 5 E anche il vino rosato, ricevuto da altri, rese più odoroso con strofinamento di essenze di pino. Di tutto questo genere di bevande, prima di Eliogabalo non se ne scriveva. 6 Né alcun altro genere di vita per lui era interessante se non ricercare nuove voluttà. Per primo fece involtini di pesce, ostriche, litostrei e altri mùrici marine di questa razza, nonché di gamberi, gamberetti e scille [cipolle marine].
7. Cosparse di rose triclini, letti, nonché i portici per i quali passeggiava; e anche con ogni altro genere di fiori, come gigli, viole, giacinti e narcisi. 8 Non nuotava nelle piscine se non con nobile profumo e dopo averle profumate con zafferano. 9. Né facilmente si sdraiò su divani che non avessero pelo leporino o piume subalari di pernici, e spesso mutando cuscini.


XX. 1 Disprezzò spesso il Senato sì da chiamare i senatori "schiavi togati", coltivatori solo del fondo del popolo romano, né tenne in alcun conto l'ordine equestre.
2. Spesso dopo cena chiamava il prefetto della città per bere, invitando anche i prefetti del pretorio, in modo che se avessero rifiutato, li avrebbero costretti i "magistri officiorum".
3. Volle nominare anche per le singole regioni della città prefetti urbani, affinchè fossero quattordici nella città. E avrebbe nominato, se fosse vissuto ancora, tutti gli uomini più turpi e delle professioni più scadenti.
4. Si fece fare in argento massiccio i letti sia triclinari che cubiculari.
5. Si fece servire spesso, a imitazione di Apicio, talloni di cammelli, creste strappate da polli vivi, lingue di pavoni e di usignoli, perchè si diceva che mangiasse così per essere sicuro dalla peste. 6 Faceva servire agli ufficiali di Palazzo piatti enormi riempiti di visceri di muli, cervello di fenicotteri, uova di pernice, cervelli di tordi, teste di pappagalli, di fagiani e di pavoni.
Faceva esibire tante barbe di triglie [triglia =mullus barbatus], in sì gran quantità che le esibiva in guisa di crescioni, sedani, fagioli e fieno greco, in vasi e piatti, tutti pieni. Il che era veramente stupendo.

XXI. Nutriva cani con fegato d'oca. Ebbe, nei suoi divertimenti, leoni e leopardi addomesticati che, condotti da domatori, faceva partecipare sdraiati al banchetto all'improvviso, al momento della seconda e terza portata, senza che nessuno sapesse che erano addomesticati, per suscitare paure per lui divertenti.
2 Fece dare ai suoi cavalli uva apamene e nutrì leoni e altri animali con pappagalli e fagiani.
3 Per dieci giorni si fece anche servire quotidianamente trenta mammelle di cinghiale con le loro vulve, piselli con palline d'oro, lenticchie con ceraunii, fave con gocce d'ambra, riso con perle bianche. 4 Cosparse inoltre perle, a mo' di pepe, sui pesci e sui funghi. 5 Sommerse in triclini mobili i suoi convitati con viole e fiori, in modo tale che alcuni di loro morirono soffocati perché non riuscivano a liberarsene. 6 Mescolò l'acqua di piscine e tinozze con vino rosato e aromatizzato [con assenzio?]
Invitò il popolo a bere ed egli stesso tanto bevve assieme a loro, che si riteneva che egli abitualmente bevesse in piscina, avendolo già visto una volta bere così. 7 Diede ai convitati, come doni da portare via con sè, eunuchi, quadrighe, cavalli abbattuti, muli, lettighe e carrozze, e pure oro e argento in quantità.

XXII. 1 Scriveva sui cucchiai i doni da assegnare a sorteggio ai convitati, sicchè a uno uscivano "dieci cammelli", a uno "dieci mosche", a uno "dieci libre d'oro", a uno "dieci di piombo", a uno "dieci struzzi", a uno "dieci uova di pollo", affinché fossero veramente dei sorteggi e e venisse tentata la fortuna. E ciò introdusse anche nei giochi, mettendo qui a sorteggio dieci orsi, dieci ghiri, dieci lattughe e dieci libbre d'oro.
3. Fu lui che per primo istituì questa usanza del sorteggio, che ora vediamo. Però egli, veramente, chiamava attori per il sorteggio, assegnando in sorte o cani morti o una libbra di carne bovina, o ugualmente cento pezzi d'oro o mille pezzi d'argenti o cento sacchi di cuoio pieni d'aria, e altra roba del genere.
4. Queste cose il popolo le accolse tanto volentieri da gradire che egli governasse ancora.

XXIII.1 Si racconta che diede naumachie in fossati [del circo Massimo] ripieni di vino, che cosparse i pallii di essenza di enante, che condusse al Vaticano quadrighe trainate da quattro elefanti - dopo aver demolito i sepolcri che ne impedivano il passaggio-, che nel Circo, per suo privato spettacolo, attaccò ai carri quattro cammelli.
2 Si narra che fece ammasare serpenti, tramite sacerdoti della gente marsica, e che all'improvisso, all'alba, quando il popolo suole radunarsi per i solenni giochi, li liberò, e molti subirono morsi e si diedero alla fuga.
3 Usò una tunica tutta d'oro, e anche purpuree e con gemme di Persia, dicendo che si caricava dell'onere della voluttà. 4 Portò gemme nei calzari, e pure intagliate [cammei]. Il che provocò il riso di tutti, come se gli intagli di celebri artisti potessere essere notati in gemme che erano attaccate ai piedi.
5. Volle pure utilizzare un diadema gemmato, che lo facesse sembrare più bello e più simile di volto alle donne. E lo utilizzava pure a casa.
6. Si dice che avesse promesso una fenice ai convitati, o in suo luogo mille libbre di oro, in modo da poterli accomiatare con far degno di imperatore.
7. Sfoggiò piscine d'acqua marina, principalmente in luoghi dell'entroterra, e le riempì di pesci.
8 Creò in estate, nel giardino di casa, una montagna di neve, avendovi prima fattovi portare le nevi. Vicino al mare mai mangiò pesce, ma in luoghi lontanissimi dal mare sfoggiò sempre tutte le cose di mare e nutrì i contadini con "latte di murene e di lupi marini".

XXIV. Mangiò sempre pesci cotti con condimento azzurro, come fosse acqua di mare, che quindi conservavano il proprio colore naturale. Per qualche tempo sfoggiò piscine di vino rosato e adorne di rose, e si lavò assieme a tutti i suoi [amici] sfoggiando calidari al profumo di nardo. E, sempre lui, sfoggiò balsamo nelle lucerne.
2 Non abbracciò mai nessuna donna per più di una volta, tranne la sua sposa; e istituì, in casa, bordelli per gli amici, i clienti e i servi.
3 Non spese mai, per i banchetti, meno di cento sesterzi, cioè trenta libbre d'argento; qualche volta, considerate tutto quello che faceva preparare, spese per le cene addirittura tremila sesterzi. 4 Superò sicuramente quindi anche le cene di Vitellio e di Apicio. Impiegava buoi per trasportare i pesci dai suoi vivai, e transitando attraverso il mercato piangeva la miseria pubblica.
5 Legava i suoi commensali a una ruota acquaria e con rotazioni li immergeva sott'acqua e nuovamente in alto, e li chiamava amici Issioni.
6 Pavimentò pure con pietre dei Lacedemoni e di porfiro parecchi cortili del Palazzo, che chiamò Antoniniane. Queste pietre sono rimaste fino a giorni di cui abbiamo ancora ricordo, ma da un po' di tempo sono state rimosse e tagliate.
7 Aveva progettato di innalzare una immensa colonna, alla quale potesse salire dall'interno, per collocarvi in sommità il dio Eliogabalo, ma non trovando un masso tanto grande meditava di farlo portare dalla Tebaide.

XXV. 1 Spesso chiudeva a chiave i suoi amici ubriachi, e appena notte introduceva nelle loro stanze leoni, leopardi e orsi, in modo che, svegliatisi, trovassero nella stessa stanza da letto leoni, orsi e leopardi in uno alla luce del giorno; ovvero, il che è più grave, di notte: cosa che fece morire molti di essi di paura.
2 A molti suoi amici di bassa condizione faceva predisporre, anziché gli accubiti [=divani], sacche piene d'aria, e mentre pranzavano le faceva sgonfiare, sicché essi all'improvviso si trovavano a terra sotto la tavola; 3 per primo, inoltre, egli escogitò di stendere per terra i cuscini e non sui divani, in modo che gli schiavetti potessero sgonfiare le otri coi piedi.
4. Negli adultèrii rappresentati dai mimi, ordinò che fosse fatto per davvero quanto essi solevano simulare.
5. Riacquistò spesso le prostitute da tutti i lenoni e le affrancò.
6. Essendo nata in chiacchiere private la discussione quanti malati d'ernia potessero esserci nella città di Roma, ordinò che tutti fossero individuati ed esibiti nei suoi bagni; e con loro si bagnò, anche se parecchi di loro erano gente onesta.
7. Frequentemente esibì, prima dei banchetti, gladiatori che si combattevano fra di loro e pugili.
8 Si fece collocare nel punto più alto dell'anfiteatro un triclinio e così, mentre mangiava, si godeva la vista dei condannati e delle belve.
9 Ai commensali, alla seconda portata, fece servire una cena con pietanze certe volte di cera, certe altre di legno, altre ancora d'avorio, qualche volta in terra cotta o in marmo o in pietra, affinché essi potessero vedere, ma fatti con materiali differenti, tutto quello che lui mangiava, mentre essi si dovevano limitare a bere a ogni portata e, come se avessero pure loro mangiato, a lavarsi le mani.

XXVI. 1 Primo fra i Romani indossò vesti tutte di seta, mentre prima non erano in uso che stoffe in misto di seta. Mai indossò vesti di lino lavate, affermando che erano i mendicanti a usare il lino lavato.
2 Spesso apparve in pubblico, dopo un banchetto, vestito con la dalmatica, dandosi il nome di Gurgite Fabio e Scipione, poiché portava la stessa veste con la quale Fabio e Cornelio erano stati mostrati in pubblico da adolescenti, per correggerne i costumi, dai loro padri.
3. Raccolse da circo, teatro, stadio e da tutti i luoghi e bagni, tutte le puttane e le mise nelle case pubbliche e a esse fece un discorso quasi militare, dicendo che erano sue commilitoni, e disputò sui vari tipi di posizione e di voluttà.
4. Adibì poi, in tale discussione, lenoni e ragazzi prostituti raccolti da ogni dove, nonché ragazzini e giovani dissolutissimi.
5. Ed essendosi presentato alle meretrici in abbigliamento femminile con il seno di fuori, e ai giovani prostituti con abito da ragazzi che si prostituiscono, annunciò a loro, quasi fossero soldati, un donativo di tre aurei a testa, e chiese loro, come se implorasse delle divinità, di procurargli altri tipi raccomandabili par loro.
6. Giocavano dunque così con gli schiavi, che ordinò ad essi di portargli mille pesi di ragnatele in premio, e si dice che ne furono raccolti diecimila pesi, con questo volendo dire e far capire quanto grande fosse Roma.
7 Mandava ai commensali, come remunerazioni annue per il vettovagliamento, vasi pieni di rane, di scorpioni, di serpenti e di animali mostruosi simili.
8 Rinchiudeva in vasi simili un'infinità di mosche, che egli chiamava api domestiche.

XXVII. 1 Fece spesso circolare quadrighe del Circo nei suoi triclini e nei suoi portici quando egli pranzava o cenava, costringendo anziani convitati, e parecchio onorati, a spingerle.
2 Ormai imperatore ordinava che gli portassero diecimila ratti, mille faine, mille topi campagnoli.
3 Aveva a sua disposizione pasticcieri e lattai tali, che qualunque piatto i cuochi avessero preparato, o gli scalchi o gli addetti alla frutta, essi li riproducevano sotto forma di dolci o sotto forma di latticini.
4 Servì ai suoi commensali cene di vetro, e qualche volta metteva sulla tavola tanti tovaglioli dipinti: dipinti con i cibi che erano apparecchiati, e nelle quantità in cui stava per essere servito, così che esse venivano esibite con tessuti dipinti o ricamati.
5 Qualche volta anche tavole dipinte veniva presentate a loro, per rappresentare quasi tutto mentre essi erano tormentati dalla fame.
6 Mescolò pietre preziose a frutti e fiori. Gettò addirittura dalla finestra tanto cibo quanto ne aveva fatto servire agli amici. 7 Ordinò pure che fosse data la provvigione di un anno di grano (che apparteneva al popolo romano) alle meretrici, ai lenoni e ai giovani che si prostituivano dentro la città, promettendone altrettanto a quelli fuori città. Ciò gli fu possibile a quel tempo perchè, grazie all'economia cauta di Severo e di Bassiano, a Roma vi era una provvista di grano per sette anni.

XXVIII. 1 Fece attaccare quatro enormi cani a un carro e così si fece trasportare fino al palazzo reale, e lo stesso fece da privato nei suoi poderi. 2 Sfilò in pubblico trainato da quattro enormi cervi. Si mise un sèguito di leoni facendosi chiamare Grande Madre; un sèguito di tigri chiamandosi Libero , indossando di volta in volta gli abiti con cui gli dei che imitava venivano rappresentati nei dipinti. 3 Ebbe a Roma dei piccoli serpenti egiziani, che nelle loro terre chiamano "buoni dèmoni". Ebbe anche ippopotami, coccodrilli, rinoceronti e ogni cosa d'Egitto che per loro natura poteva essergli esibita. 4 Fece servire qualche volta, a cena, carne di struzzo, dicendo che era comandato ai Giudei di mangiarne. 5 Gli si attribuisce un fatto veramente straordinario: avendo invitato a pranzo personaggi molto importanti imbottì di zafferano il letto semicircolare a loro destinato, proclamando che l'aveva adoperato in onore della loro dignità.
6 Sbrigava di notte gli affari diurni e di giorno quelli notturni, ritenendo ciò strumento di voluttà. E così di sera si svegliava e iniziava a ricevere i saluti, mentre al mattino pensava a dormire. Agli amici offriva quotidianamente qualcosa, e nessuno lasciava facilmente andar via senza un suo dono, eccezion fatta per chi avesse considerato frugale e quindi quasi irrecuperabile.

XXIX. Le sue carrozze erano arricchite d'oro e di gemme: disprezzava quelle che non avevano che argento, avorio o rame. 2 Agganciò insieme due donne delle più belle, qualche volta tre, altre volte quattro o anche di più, col seno scoperto, e si faceva trasportare così, ma per lo più egli era nudo se donne nude lo trainavano. 3 Aveva ancora per abitudine di invitare alle sue cene otto uomini calvi, otto guerci, otto gottosi, otto sordi, otto neri, otto alti e snelli, otto obesi, e quando il semicerchio non riusciva a contenerli, eccitava tutti a riderne. 4 Diede nei suoi convivi tutta l'argenteria che serviva per quel pasto, e questo spesso. 5 Primo fra gli imperatori romani donava al popolo l'idrogaro [salsa di pesce e acqua], che fino ad allora era riservata per i soldati, e che Alessandro restituì all'abituale destinazione. 6 Assegnava, quasi come temi, ai suoi commensali nuove salse da inventare, e colui la cui idea gli piaceva riceveva da lui un magnifico dono, per esempio un abito di seta, cosa che allora era estremamente raro e grandemente ricercato. 7 Condannava, al contrario, colui la cui idea gli fosse dispiaciuta, a mangiare il piatto da costui preparato, finché non avesse trovato di meglio. 8 Mai si sedette se non fra fiori e profumi. 9 Amava che si innalzasse al di sopra del suo valore il prezzo delle cose che si preparavano per la sua tavola, assicurando che era uno stimolo per l'appetito.

XXX. 1 Si travestì da pasticcere, da profumiere, da rosticcere, da oste, da lenone, e ne fece le funzioni nel suo palazzo. 2 Fece offrire in diverse occasioni, in una sola cena, seicento teste di struzzo per farne mangiare i cervelli. 3 Un giorno diede un pasto composto da ventidue portate molto ben fornite, e tra una portata e l'altra si lavava le mani, poi lui e i suoi amici si accoppiavano con donne giurando, lui e gli amici, di arrivare al piacere. 4 Un'altra volta, essendo stata apparecchiata ciascuna portata nelle case di tanti amici, una al Campidoglio, l'altra al monte Palatino, un'altra alla porta Viminale, un'altra sul monte Celio, un'altra al di là del Tevere, si andò per ordine a mangiare ciascuna portata alla casa di ciascuno, di modo che l'intera giornata bastò appena per questi pasti;. 5 e così dopo ogni portata ci si lavava le mani e poi si passava alle donne. 6 Ebbe sempre sulla sua tavola il pasto sibaritico, composto di olio e garo. L'anno stesso che i Sibariti l'inventarono, perirono. 7 Si dice che fece costruire bagni in più posti, se ne servì una volta e li fece demolire subito, per non avere bagni usati. Ne fece tanti, a quel che si dice, per le case, per le ville, per le camere da letto. 8 Ma questi e molti altri racconti, che oltrepassano l'immaginazione, sono stati, secondo me, inventati da gente che, per adulare Alessandro, cercavano di denigrare Eliogabalo.

XXXI Si racconta che abbia riscattata una famosissima e bellissima prostituta con cento sesterzi e che la trattò lasciandola intatta come fosse una vergine. 2 Quand'era un semplice privato quando qualcuno gli chiedeva: «Non hai paura di diventar povero?» si dice che avesse risposto: «Cosa di meglio che essere erede di me stesso e della mia donna?»
3 Aveva inoltre beni lasciatigli in eredità da molti in favore di suo padre. Egli però diceva che non voleva avere figli per paura che gli risultassero di buoni costumi.
4 Per profumare le sue camere faceva bruciare, senza carboni, aromi indici. Da privato cittadino mai fece strada con meno di sessanta carrozze, malgrado sua nonna Varia lo rimproverasse che così avrebbe dissipato tutto; 5 ma una volta imperatore, si dice che si facesse accompagnare anche da seicento carrozze, asserendo che il re dei Persiani si faceva accompagnare da diecimila cammelli e che Nerone aveva sfilato con cinquecento carrozze. 6 Il motivo di così tanti veicoli era la moltitudine di lenoni, mezzane, meretrici, ragazzi prostituti, e anche di stupratori ben forniti d'attrezzo.
7. Si dice che nei bagni andasse sempre assieme a donne, e le depilava lui, ed egli stesso si faceva la barba col depilante; e, cosa vergognosa da dire, usava lo stesso che usavano le donne e nello stesso momento. Rasò anche i cazzi ai suoi "inculatori" di sua mano, con un rasoio con cui dopo si faceva la barba.
8 Cosparse di limatura d'oro e d'argento il portico (del suo palazzo), lamentandosi di non potervi aggiungere anche ambra gialla, e lo stesso fece spesso per qualunque percorso a piedi che intraprendeva per andare a prendere il suo cavallo o il suo cocchio, come adesso si fa con la polvere dorata.

XXXII Mai mise due volte le stesse calzature, né gli stessi anelli; spesso strappò vesti preziose. Prese una balena e la pesò, e la mandò come pesce ai suoi amici perchè ne apprezzassero il peso. 2 Fece affondare nel porto navi cariche di mercanzie, dicendo che questo era un atto di magnanimità. Defecava in recipienti d'oro e urinava in vasi di mirra e d'onice.
3. Si narra che egli avesse detto: "Se avrò un erede, gli darò un tutore che lo costringa a fare quello che io stesso ho fatto e che mi accingo a fare"
4 Ebbe anche l'abitudine di distribuire così i suoi pasti: un giorno non mangiava altro che fagiani e faceva apparecchiare tutte le portate solo con carne di fagiani; un altro giorno solo pollo; un altro un tipo di pesce e l'indomani un altro tipo ancora; un altro carne di porco; un altro di struzzo; un altro verdure; un altro frutta; un altro dolci; un altro ancora latticini.
5 Spesso rinchiuse amici suoi in alloggiamenti notturni, fino alle luci dell'alba, in compagnia di vecchie etiopi dicendo loro che erano donne bellissime. 6 E la stessa cosa fece rinchiudendoli altre volte con fanciulli: cosa che a quel tempo, fino a Filippo (l'Arabo), era lecita. 7 Rideva inoltre, qualche volta, pubblicamente a teatro così forte che si udiva solo lui. 8 Egli stesso cantò, danzò, suonò il flauto, la tromba, la pandura e l'organo. 9 Si dice che, coperto da un copricapo da mulattiere per non essere riconosciuto, egli visitò in un sol giorno tutte le prostitute del Circo, del teatro e dell'anfiteatro, e di tutti i luoghi della città, donando, senza tuttavia manifestare libidine, a tutte le prostitute monete d'oro dicendo: «Nessuno lo sappia, ma è Antonino che dona.»

XXXIII. 1 Scoprì alcune specie di libidini, per vincere le spintrie dei passati imperatori, e conosceva tutto l'apparato di Tiberio, di Caligola e di Nerone. 2 E poiché gli era stato predetto dai sacerdoti Siriaci che egli sarebbe morto di morte violenta, 3 aveva quindi preparato funi di porpora e intorte con seta e stoffa scarlatta, coi quali finire la vita, se ci fosse stata necessità di un cappio. 4. Aveva anche preparato gladii d'oro, coi quali uccidersi, se qualche violenza l'avesse messo alle strette; 5 e pure preparato veleni in pietre preziose (cerauni, giacinti e smeraldi), coi quali darsi la morte se gli fosse capitato qualcosa di molto grave. 6 Aveva fatto altresì costruire una torre molto alta, alla cui base stavano placche d'oro e di pietre preziose, dalla quale precipitarsi, dicendo che anche la sua morte doveva essere preziosa e una specie di sontuosità, così che si potesse dire che nessun altro fosse morto allo stesso modo. Ma a nulla ciò valse. 7 Infatti, come abbiamo detto, fu ucciso dalle sue guardie del corpo e condotto per le piazze e, ignominiosamente, per cloache, e fu gettato nel Tevere. 8 Questa fu la fine del nome degli Antonini nella repubblica, pur se tutti sapevano comunque che costui era per nome un falso Antonino.

XXXIV. 1 Forse può sembrare sorprendente, o venerabile Costantino, che questo disastro, di cui io ho riferito, sia stato nel rango di imperatore, e per giunta per quasi un triennio: nessuno dunque nello stato allora ci fu che allontanasse costui dal governo della maestà romana, quand'invece per Nerone, Vitellio, Caligola e agli altri di siffatta razza mai mancò un tirannicida. 2 Ma prima di tutto io chiedo perdono per aver pubblicizzato per iscritto dettagli che ho raccolto di qua e di là, limitandomi e tacendo sulle molte vergogne e su quanto non poteva essere detto senza il massimo pudore; 3 e quelle cose che ho detto le ho mitigate, per quanto mi è stato possibile, con espressioni addolcite. 4 Quindi ho pensato che bisognava riflettere su quello che la tua clemenza suole dire: "E' la fortuna che fa un imperatore". 5 Infatti ci sono stati re poco di buono e re pessimi. Ma, come suole dire la tua pietà, bisogna che siano degni del comando quelli che la forza del fato porta alla necessità di governare. 6. E poiché fu questo l'ultimo degli Antonini né in seguito questo nome fu più appannaggio di principi nello Stato, mi corre l'obbligo di aggiungere anche, affinché nessuno cada in errore, questo fatto, quando iniziero a narrare dei due Gordiani, padre e figlio, che volevano dirsi della dinastia degli Antonini, ma non era il loro nomen questo, bensì un prenomen; 7 e infatti essi sono chiamati, come ho trovato nella maggior parte degli autori, Antoni e non Antonini.

XXXV. 1 Haec sunt de Heliogabalo, cuius vitam me invi-tum et retractantem ex Graecis Latinisque collectam scribere ac tibi offere voluisti, cum iam aliorum ante tu-lerimus. 2 Scribere autem ordiar, qui post sequentur. quorum Alexander optimus et cum cura dicendus est annorum tredecim princeps, semestres alii et vix annui et bimi, Aurelianus praecipuus et horum omnium decus auctor tui generis Claudius. 3 De quo vereor ad clemen-tiam tuam scribens vera dicere, ne malivolis adulator videar esse, sed absolvar contra livorem inproborum, cum et apud alios clarum esse perspexerint. 4 His iun-gendi sunt Diocletianus, aurei parens saeculi, et Maxi-mianus, ut vulgo dicitur, ferrei, ceterique ad pietatem tuam. 5 Te vero, Auguste venerabilis, multis paginis i-sdemque disertioribus illi prosequentur, quibus id feli-cior natura detulerit. 6 His addendi sunt Licinius, Seve-rus, Alexander atque Maxentius, quorum omnium ius in dicionem tuam venit, sed ita ut nihil eorum virtuti de-rogetur. 7 Non enim ego id faciam, quod plerique scrip-tores solent, ut de his detraham, qui victi sunt, cum in-tellegam gloriae tuae accedere, si omnia de illis, quae bona in se habuerint, vera praedicaro.

Eliogabalo: un ragazzo diciamo fortunato e sfortunato.
La prese in quel posto con piacere tante volte...
ma alla fine la prese in quel posto,
sì sì proprio in quello, in quello fatale.
Vedi che succede a diventare imperatore a 14 anni, gioia?
ti diverti tanto, ma ti finisce male